Grottaminarda (pronuncia ġrǪttaminàrda; Ròtta in dialetto grottese) è un comune italiano di 8.298 abitanti in provincia di Avellino in Campania. Si trova nell'Irpinia settentrionale. Gli abitanti si chiamano grottesi (Ruttìse in dialetto).
Il castello d'Aquino
LA STORIA -Il castrum della cittadina di Cripta è citato già in un
documento del 991 d.C., facente parte del Codice Diplomatico Verginiano.
Le sue origini sono verosimilmente riferibili alla fine dell'VIII
secolo, durante il periodo della dominazione longobarda e del principato
di Arechi II, quando si assiste ad una politica di ripopolamento della
media valle dell'Ufita, attraverso l'offerta di terreni coltivabili. In
questa fase i documenti coevi attestano la stipula di una serie di
contratti con alcune decine di capifamiglia intenzionati ad insediarsi
sul territorio; costoro si impegnano a costruire un piccolo centro
abitato fortificato e a lavorare il terreno dei proprietari longobardi
fuori dalle mura dello stesso centro abitato. È quindi probabile che
intorno ad una originaria rocca militare longobarda si sia
progressivamente sviluppata la struttura del castello, all'interno di
una cinta muraria. Questa, nella sua configurazione definitiva, cingeva
l'intero centro abitato antico, identificabile con il Rione Fratta.
L'attuale aspetto del castello è tuttavia il risultato di una serie di
successivi interventi di ampliamento e di modifiche della destinazione
che Normanni, Angioini e recenti proprietari hanno apportato alla
struttura. Sotto la dominazione normanna infatti abbiamo più volte
notizie del castrum Cryptae o Cripte e in
particolare grazie al barone Trogisio, elencato nel Catalogo dei Baroni e
pure coinvolto nella rivolta dei Baroni contro re Ruggiero. Il castello
in seguito passò in proprietà della famiglia d'Aquino; danneggiato da
diversi eventi tellurici, fu più volte ricostruito e infine destinato ad
uso abitativo. Un documento del 1531 lo descrive senza dubbio come
ancora adatto alla difesa.Il sisma del 1694 e quello
del 1732 lo danneggiarono ulteriormente. A seguito di questi eventi, la
struttura fu modificata sfruttando le vecchie strutture del complesso
difensivo e realizzando, nell'area a sud, una serie di ambienti per uso
residenziale e un giardino pensile, delimitato dalla cinta muraria sul
vallone Palombara. Durante il XIX secolo, nel giardino del castello, il
medico e appassionato di antichità Filippo Buonopane, proprietario
dell'edificio, realizzò un antiquarium con materiali archeologici provenienti da ritrovamenti e scavi occasionali nella vicina Aeclanum e nello stesso territorio di Grottaminarda.
La struttura
Il castello di Grottaminarda conserva ancora nella sua pianta la sua
originaria forma trapezoidale, all'interno della quale, nel corso del
tempo, sono stati inseriti nuovi corpi di fabbrica con funzione
abitativa. Realizzato con ciottoli di fiume, pietre calcaree sbozzate e
coppi, il castrum sorge su un'area sopraelevata, scelta per la
sua funzione difensiva, ed è costituito da una cortina muraria con torri
angolari di forma diversa. Il mastio, di forma circolare, è attualmente
visibile sebbene inglobato nelle successive strutture gentilizie con
funzione abitativa. L'imponenza della struttura è maggiormente visibile
sul lato rivolto a nord-est, verso il vallone del torrente
Palombara, dove le mura hanno un'altezza di circa 10 metri. Le torri che
guardano su questo versante sono massicce e con una chiara funzione
difensiva e militare, mentre il versante occidentale, meno esposto e più
difendibile, doveva ospitare i corpi destinati alla funzione abitativa.
La torre angolare est e quella sud hanno base a scarpa e di forma più o
meno circolare, come la stessa torre ovest. La torre nord invece, di
cui restano solo la base e i camminamenti del piano inferiore, doveva
avere una forma quadrata. Sul versante ovest il castello è lungo 45
metri, mentre il lato verso la chiesa di Santa Maria Maggiore ha una
lunghezza complessiva di circa 35 metri; le cortine murarie laterali
hanno una lunghezza di 30 metri e una profondità di 2 metri. Al di sotto
del piano di camminamento del giardino e dell'ingresso attuale, corrono
una serie di ambienti spaziosi con volta a botte e soprattutto un
sistema di grotte, adibite a cantine, e di gallerie che tuttora non
risultano completamente esplorate. Dalle mura del castello si snoda,
verso nord-est la cinta muraria del paese, già documentata nel Codice
Diplomatico Verginiano nell'anno 1137.
Il Rione Fratta
la “Fratta” di Grottaminarda sono strettamente legate alla nascita, sulla sommità della collina soprastante, del castrum, le cui prime notizie risalgono all'XI secolo d.C.,e
del centro abitato di poco successivo, denominato “Fracta”.
L'etimologia del termine rimanda secondo alcuni studiosi al
caratteristico modello insediativo longobardo. Il termine “fractum”
starebbe quindiad indicare un luogo sopraelevato e
fortificato, o con un sistema di palizzate, ossia di pali appuntiti che
cingevano il versante più esposto della collina, o più semplicemente con la presenza di un'area libera da boscaglia,che permetteva una maggiore visuale dalle mura del castello. Secondo un'altra interpretazione invece il nome deriverebbe dalla presenza di una serie di macchie e boschi che sorgevano all'interno del borgo stesso. La “Fratta” si sviluppa in una prima fase all'interno delle mura del castrum. Documenti
di archivio citano espressamente abitazioni che si collocavano “dentro
le mura”. Più tardi, il borgo si estenderà al di fuori delle mura più
antiche, dotandosi di un ulteriore sistema di cortine murarie e di porte
di accesso, come la Portaurea, la Porta di Santa Lucia e la Porta di Sant'Angelo. I primi documenti che, riferendosi alla cittadina odierna, la denominano Cripta, sono atti notarili nei quali si fa continuo riferimento all'area della Fratta come ad un'area densamente abitata. Solo in seguito la città verrà esplicitamente denominata Cripta Mainardi o Cripta Menarda. Questo particolare ha spinto alcuni studiosi ad attribuire l'antica origine dell'abitato alla
presenza di una grotta dedicata a Sant'Angelo, situata all'esterno
delle porte di accesso del borgo antico e lungo l'asse viario longobardo
che conduceva i pellegrini verso il Santuario pugliese di Monte
Sant'Angelo.
Le origini del borgo del
La struttura
Fratta
sono il frutto di una complessa opera di stratificazione insediativa
avvenuta nell'area fino al terremoto del 1980, evento che ne ha
decretato il quasi totale abbandono e la
parziale, successiva, distruzione. Al limite dell'attuale Piazza San
Giovanni, nel borgo è ancora visibile una torre cilindrica che
verosimilmente faceva parte del sistema di protezione del centro
abitato. Al medesimo sistemadeve essere pertinente il
perimetro di mura che, partendo dal castello, si congiunge tuttora a
questa stessa torre e che proseguiva fino alla porta di Santa Lucia, altro punto di accesso dell'insediamento più antico. Di particolare interesse si rivelano le cantine e le grotte scavate nella roccia viva al di sotto del piano abitato. Nel banco di calcare su cui poggia l'intera parte sommitale dell'abitato antico di Grottaminarda la consistenza numerica di queste grotte (cryptae) ha fatto ipotizzare anche una derivazione da esse del nome della cittadina odierna. Durante i lavori di restauro e consolidamento del castello, nei suoi sotterranei sono stati portati alla
luce numerosi cunicoli e grotte non ancora del tutto esplorati e in
parte murati. Il borgo era in origine costituito da una serie di
abitazioni di non particolare grandezza, l'una addossata all'altra, con vicoli stretti, piccole piazze e piccoli horti terrazzati e coltivati, così come testimoniano i documenti di archivio più antichi, relativi a vendite e donazioni avvenute nell'area nel secolo XII. Altra caratteristica è la presenza di alcune case torri fortificate, come ad esempio il palazzo Perillo che occupa, con un suo fronte, tutta la via Teatro. Queste case si collocavano lungo il perimetro più esterno dell' insediamento antico ed erano caratterizzate dalsistema costruttivo del loggiato, costituito da un piano superiore porticato sorretto da una fila di colonnine in pietra locale, cui si accedeva tramite una scalinata in pietra esterna all'abitazione.
Le caratteristiche architettoniche attuali dell'antico borgo
La cinta muraria medievale
I più antichi documenti riferibili alla cittadina di Cripta o Crypta,
che riferiscono con chiarezza della presenza di una cinta muraria
all'interno della quale il borgo si sarebbe lentamente sviluppato, non
lasciano alcun dubbio sul fatto che, almeno sin dal XII secolo,
l'abitato del Rione Fratta fosse quasi interamente circondato da mura di
difesa. Allo stato attuale, proseguendo in direzione nord-est rispetto
alle mura del castello di Grottaminarda e costeggiando il vallone che si
affaccia sul torrente Palombara, è ancora possibile vedere i resti di
questa cortina muraria e quelli di una torre circolare con base a scarpa
che delimita la Piazza San Giovanni nello stesso Rione Fratta. La torre
evidentemente doveva fare parte di un sistema difensivo per controllare
l'accesso all'abitato. Questo sistema comprendeva, secondo quanto
riportato dalle fonti, tre porte principali: quella di Santa Lucia alla
Fratta, quella di Sant'Angelo, anche chiamata “porta di mezzo”, che
introduceva nell'area antistante la Grotta di San Michele Arcangelo, e
la Porta di Santa Maria. D'altra parte è tuttora possibile ammirare
lungo il perimetro esterno di quello che in origine era l'antico
abitato, una serie di case-torri o case-fortificate che, con le loro
strutture imponenti, le torri di guardia, le massicce murature a scarpa e
l'assenza quasi totale di aperture nei piani inferiori, testimoniano la
funzione di difesa. Accadeva spesso infatti che in età medievale le
stesse abitazioni assumessero tale funzione. Lungo la strada che dalla
porta di Santa Lucia conduceva alla cosiddetta porta di mezzo, sorge una
seconda torre circolare con base a scarpa, inglobata oggi in un
edificio residenziale, mentre sul versante che dalla collina scende
verso il torrente Palombara, si notano ancora i segni di terrazzamenti
con muretti a secco, realizzati al fine di creare delle aree coltivabili
prossime al centro abitato e appena fuori dalle sue mura difensive.
Chiesa di Santa Maria Maggiore
Grottaminarda,
la struttura originaria venne rasa al suolo e se ne decise una nuova
ricostruzione, realizzata su progetto dell'architetto Ciriaco di Silva,
allievo di Giandomenico Vaccaro. Finanziatori dell'opera furono il Duca
Coscia, patrono, l'investito arciprete don Carlo Ciaburri e l'Università
di Grottaminarda con i
luoghi pii. In realtà i lavori della Chiesa iniziarono solo nel 1748
sotto la supervisione dell'arciprete don Pietrantonio Perillo,
“galantuomo e il più facoltoso del paese”, così come riporta una cronaca di Monsignor Cogliani, autore di un saggio sulla Chiesa stessa. L'edificio
è a croce latina con una sola navata interna e diverse cappelle
laterali. La facciata è caratterizzata da lesene laterali che ne
definiscono la parte centrale e l'ingresso, un portale in pietra in
stile tardo barocco, una larga scala di accesso in pietra, un finestrone
a campana con due nicchie laterali e un oculo nel frontone superiore.
Numerosi e pregevoli stucchi decorano l'arco maggiore, la cupola e le
pareti laterali della struttura, opera degli artisti napoletani Nicola
Massaro e Gaetano Amoroso, che realizzano anche l'altare maggiore nel
1761 intagliando numerosi marmi policromi. La Chiesa conserva dipinti
settecenteschi del pittore napoletano Antonio Sarnelli, tra cui un olio
su tela raffigurante San Tommaso e San Giacomo che venerano il Santissimo Sacramento (1766) eun affresco sul soffitto centrale con la scena della Glorificazione dell'Assunta,
eseguito nel 1768 dal pittore solofrano Matteo Vigilante. In una delle
nicchie laterali è esposta una preziosa tavola lignea dipinta, di
probabile scuola fiamminga, databile al 1573 e raffigurante la Madonna del Rosario
con bambino seduto in grembo ai cui piedi pregano San Domenico, Santa
Caterina e la nobile Diana Spinelli. La scena sacra centrale è
circondata da quindici quadretti rettangolari dipinti con scene prese
dal Nuovo Testamento. Di notevole impatto è anche il palco dell'organo
corale a canne, indorato a lamine d'argento in stile tardo barocco,
realizzato nel 1779 sull'antiporta dell'ingresso dall'artigiano arianese
Michele Vigilante
L'impianto originario della Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore
risale verosimilmente al XV secolo. Si ha notizia infatti di una sua
benedizione nel 1474 e di un'altra nel 1478. Tuttavia, secondo le
informazioni fornite dall'arciprete Alfonso Cogliani, autore nel 1932 di
una monografia dedicata al monumento, i numerosi terremoti ne
modificarono notevolmente e frequentemente l'aspetto. A seguito del
sisma del 1732, che distrusse buona parte dell'abitato di
La chiesa di San Michele Arcangelo
La Chiesa di San Michele Arcangelo è situata all'inizio dell'antica
via principale del paese, la via Assise, in posizione intermedia sul
colle che domina la "Fratta", in prossimità di quella che in epoca
medievale era una delle porte di accesso alla cittadina denominata Cripta, la porta di Sant'Angelo.La
sua origine risale sicuramente al XII secolo, se già in un manoscritto
del 1178, conservato nell'Archivio dell'Abbazia di Montevergine, se ne
fa menzione. La dedica dell'edificio al santo dei Longobardi e la sua
posizione all'ingresso dell'impianto urbano originario del paese sono
sintomatici dell'importanza della struttura, soprattutto se quest'ultima
viene messa in correlazione con la presenza di una grotta (crypta) dedicata a San Michele, localizzata in prossimità della chiesa stessa.
La Chiesa fu certamente ricostruita nel 1541, dopo i danni subiti con il terremoto che nel 1512 aveva colpito il paese. Il terremoto del 1732 e le successive demolizioni, costrinsero a nuovi lavori di restauro e di ricostruzione, conferendo alla chiesa l'aspetto che ha attualmente, fortemente influenzato da elementi neoclassici come ad esempio le quattro grandi lesene presenti sulla facciata principale. La finestra ad “occhio di bue” con conchiglia centrale rimanda invece ancora agli schemi compositivi del barocco. L'interno della chiesa è a una sola navata. Lungo le due pareti laterali sono presenti una serie di nicchie nelle quali sono sistemati il fonte battesimale, gli altari e i confessionali. Molto suggestiva è la statua lignea di San Michele Arcangelo che uccide il demonio. L'organo e il coro sono stati recentemente restaurati.
La Chiesa fu certamente ricostruita nel 1541, dopo i danni subiti con il terremoto che nel 1512 aveva colpito il paese. Il terremoto del 1732 e le successive demolizioni, costrinsero a nuovi lavori di restauro e di ricostruzione, conferendo alla chiesa l'aspetto che ha attualmente, fortemente influenzato da elementi neoclassici come ad esempio le quattro grandi lesene presenti sulla facciata principale. La finestra ad “occhio di bue” con conchiglia centrale rimanda invece ancora agli schemi compositivi del barocco. L'interno della chiesa è a una sola navata. Lungo le due pareti laterali sono presenti una serie di nicchie nelle quali sono sistemati il fonte battesimale, gli altari e i confessionali. Molto suggestiva è la statua lignea di San Michele Arcangelo che uccide il demonio. L'organo e il coro sono stati recentemente restaurati.
Fontana del Re
Carpignano
Questo santuario di Santa Maria di Carpignano di Grottaminarda prende nome da un'antica immagine di Madonna Nera dipinta su una grande tavola di noce di cm, 205 X 75, che ivi si conserva. Questa Madonna tiene il volto di colore scuro e sta seduta in trono con in braccio il bambino Gesù che strìnge in mano un uccello; la Madonna ha alle sue spalle due angeli che le reggono il velo e guarda direttamente l'osservatore che resta colpito dalle sue vesti colorate di verde e di rosso e trapunte di stelle, e soprattutto dai suoi grandi occhi orientali che guardano e ipnotizzano.
E' di chiara fattura bizantina, nonostante i suoi innumerevoli rifacimenti nel corso dei secoli. Non sappiamo se fu portata in salvo da Costantinopoli al tempo delle lotte contro il culto delle immagini sacre del secolo IX scoppiate in Oriente, o durante le Crociate del secolo XII.
Secondo la tradizione. E come sta scritto in fondo al quadro, essa fu rinvenuta nel 1150 da un pastore sopra un albero di carpine. Ma tale secolo è pure il secolo in cui nacquero gli Ordini cavallereschi militari dei Templari, degli Ospitalieri e dei Teutonici, che affiancarono i crociati che partivano alla conquista del Santo Sepolcro di Gerusalemme come polizia militare a difesa dei pellegrini, come fornitori di grano e vettovaglie di ogni genere, creando lungo le grandi vie che dal nord d'Italia portavano al porto di Brindisi numerose grancie, cioè masserie circondate da gruppi di case e da chiese e magazzini e pozzi. E una di queste fu certamente la grancia di Carpignano, perché per la sua 'carrara pubblica' transitavano quei crociati e pellegrini che da Roma e Benevento e da Salerno, si immettevano nella piana di valle Ufita dentro l'antico cammino della 'via longobarda' per Monte Sant'Angelo e il Gargano, per finire a Brìndisi, dove si imbarcavano per la Terra Santa.Questa di Carpignano fu dì certo una casa teutonica, alla diretta dipendenza della loro Commenda di Benevento. Dopo la soppressione di quest'Ordine, la grancia di Carpignano passò nel 1478 ai frati militari dell'Ordine cavalleresco degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme detti di Rodi e poi di Malta ma non con tutte le proprietà terriere: parte dei circa duecento tomoli di terreno passarono alle dipendenze della chiesa di Santa Maria Maggiore di Grottaminarda, assieme alla chiesa stessa di Carpignano,
La chiesa dì Santa Maria di Carpignano, così, continuò ad essere amministrata, assieme alla parte dei suoi beni terrieri che le furono assegnate nel 1478, dai preti di Santa Maria Maggiore di Grottaminarda , finchè non vi arrivarono nell'anno 1600 i frati Fatebenefratelli dì San Giovanni di Dio; anch'esse , come gli Ospitalieri, sì dedicavano ad assistere i pellegrini e a creare strutture ospedaliere lungo le grandi strade che portavano al porto di imbarco di Brindisi; ricordiamo che avevano aperto i grandi ospedali di Benevento. Sulla via Appia e di Troia, sulla via Traiana. E fu proprio nell'occasione dell'arrivo a Carpignano di questi frati Fatebenefratelli che si rinnovò il fervore religioso popolare per la Madonna di Carpignano e il suo quadro venne così restaurato per la prima volta nell'anno 1600 da Angelo Antonio Della Grotta che apparteneva ad un'agiata e antica famiglia grottese. Questi fece pure dipingere all'estremità inferiore centrale del quadro della Madonna lo stemma del braccio teso che è proprio il simbolo dei frati Fatebenefratelli . I Fatebenefratelli rimasero in Carpignano sicuramente fino al 1636, come attesta una campanella di bronzo con sopra scritta questa data e lo stemma dì San Giovanni Battista, conservata dentro il museo del santuario.
La chiesa di Carpignano, posta, com'era sulla via che portava ai freschi pascoli del Formicoso e della media valle dell'Ofanto continuò per tutto il '700 ad attirare gente che andava lì , ad esempio, per ringraziare la Madonna nera della pioggia venuta a vincere la siccità e della guarigione arrivata ai propri animali, E la sua piazzola antistante con la sua fontana a lato era un brulichio di gente pittoresca, specie di grottesi che l'ultimo sabato di maggio di ogni anno, subito dopo la tradizionale distribuzione di taralli e vino dinanzi alla chiesa del Rosario, vi si recavano in processione in pompa magna, preceduti dai fratelli delle congreghe processionalmente vestiti. Ma fu nel corso dell'800 che questo santuario di Carpignano subì una crisi profonda a causa della confisca delle sue terre, da parte dello Stato, vendute poi all'asta nel 1867 e nel 1868, e nel 1869: in quelle occasioni sì voleva confiscare addirittura il tesoro fatto di ex voto della Madonna, che veniva conservato nella nicchia della miracolosa immagine di Maria Santissima dì Carpignano, la cui chiave era conservata dall'arciprete di Grottaminarda. A seguito di ciò, il tesoro della Madonna crebbe sempre di più. E cosi tutti gli oggetti d'oro raccolti in tanti anni, furono depositati il 21 febbraio del 1893 nella nicchia della Madonna di Carpignano. Erano donativi di oro e di argento: laccetti, spille e spolettoni, orecchini a campanella, a cassa, a cerchioni, a coppa e a palla, orologietti a castagna e orologi d'oro e d'argento, braccialetti, anelli, cori, cornicelli, spolette, rosari con segnacoli d'oro, fioccaglie a cassa, a coppa, a palla e a cascia, fili d'oro. Di tutti questi ex voto, i più numerosi restavano gli orecchini a palla, ovverosia le cócole che ancora oggi noi vediamo sul mantello della statua di gesso della Madonna quando viene portata in processione nei giorni di festa di maggio e settembre.
Abbandonata dai frati, la chiesa visse stentatamente sotto la cura di due eremiti, fino nel 1901 quando arrivarono i frati mercedari che vi edificarono il convento dove tuttora abitano. Oggi, la chiesa è tutta nuova, perché è stata rifatta dopo il terremoto del 1980. Nel suo interno, oltre alla pala antica della Madonna, si possono ammirare alle sue due pareti laterali otto grandi tele del pittore Tullio De Franco realizzate tra il 1991 e il 1996, che sono il racconto della vita di Gesù. Attaccato alla chiesa, è il convento ricostruito anch'esso dopo il terremoto dell'80; è attrezzato con ben 33 stanze ammobiliate , con bagni e servizi e con una cucina a piano terra, il tutto per offrire una confortevole accoglienza a chi pratica il turismo religioso e sia di passaggio sull'autostrada Napoli-Bari.
Masseria con torre colombaia
In località Palombara, su un'area sommitale rispetto al torrente
sottostante, è visibile una tipica masseria fortificata con torre
colombaia, il cui impianto originario può essere riferito alla fine del
XVII secolo. La posizione della masseria è di particolare interesse,
soprattutto se messa in correlazione con il centro storico della
“Fratta”, collocato sul fronte opposto della collina che costeggia il
torrente Palombara. Questo sistema insediativo rimanda chiaramente a
momenti in cui era ancora necessario il controllo del territorio e delle
sue principali vie di passaggio, per motivi soprattutto di difesa delle
derrate alimentari derivanti dalle attività agricole. La tipologia
costruttiva delle masserie fortificate è molto ricorrente in tutto il
territorio irpino, ma soprattutto lungo il tracciato dei tratturi, con
una particolare diffusione nel periodo compreso tra XVII e XVIII secolo.
Collocandosi al di fuori dell'impianto urbano, questo tipo di
abitazioni rurali presenta molto spesso le cosiddette “bocche di lupo” o
“saettere”, che permettevano di sparare direttamente
dall'interno delle abitazioni. Il territorio di Grottaminarda, almeno
prima del sisma del 1980, conservava altre masserie con questo
caratteristico impianto della struttura. La masseria in questione
presenta al piano terra una serie di locali adibiti a deposito e alla
lavorazione dei prodotti agricoli, mentre gli ambienti residenziali si
collocano tutti al piano superiore. La copertura ad uno spiovente
tagliato obliquamente e realizzato con l'ausilio di coppi fittili è
anch'essa tipica di questa tipologia abitativa. La torre quadrata si
trova a destra del fabbricato e presenta una sola apertura al primo
piano, mentre al livello superiore è caratterizzata dai fori adibiti a
colombaia.